Anche in Ida di Pawel Pawlikowski c’è un coltello, ma a differenza di quello di Polanski non è nell’acqua ma è ben conficcato nella memoria e nella coscienza collettiva della Polonia. Che, con naturale superficialità, sia noi che i polacchi (soprattutto di questi tempi) evitiamo di ricordare e analizzare.

Anna (magnificamente messa in scena da Agata Trzebuchowka, esordiente e senza alcun background di attrice) è una novizia alla vigilia dei voti. Cresciuta in un orfanatrofio cattolico, poco prima del fatidico giorno, Anna va ad incontrare la sua unica parente  che conosce, una sua zia (Wanda, interpretata con maestria e spessore da una veterana del cinema polacco, Agata Kulesza), un procuratore generale che in nome dei suoi ideali (è stata una partigiana e attivista comunista) non ha esitato a mandare a morte – nell’era delle purghe staliniane agli inizi degli anni ’50-  i suoi ex compagni di lotta e di partito, accusandoli di tradimenti inesistenti. Wanda svela a Anna una verità grande e particolare: è un’ebrea, affidata a un monastero di suore dai genitori poco prima che la furia nazista, aiutata dalle cattive coscienze cattoliche e polacche, non mettesse fine alle loro vite. Non si chiama neanche Anna, bensì Ida. Inizia con questa rivelazione un viaggio on the road delle due donne , per trovare il luogo dove i loro cari sono stati uccisi e fatti sparire.

Pawlikowski ci porta in giro per una Polonia dei primi anna ’60, povera, arretrata, rurale e in bianco e nero. Il cielo è sempre cupo, le strade fangose e deserte, le foreste e i boschi spogli e fitti: una selva oscura – la coscienza collettiva polacca- che racchiude segreti miserabili. Tra jazz, canzoni da ballo  italiane, alcol (di cui Wanda, tra un rapporto occasionale e l’altro, fa largo uso) Ida vive la sua educazione sentimentale alla vita. Troveranno la fossa con le povere ossa dei suoi genitori, uccisi da un contadino durante la guerra, per poter loro rubare risparmi e piccole proprietà.

Al vertice del fallimento della propria vita Wanda si suicida, Ida ne veste i panni e sembra pronta a vivere un’esistenza alternativa a quella di suora: ma la sua nuova identità non le basta e tornerà al convento.

Un film per immagini, con dialoghi asciutti ed essenziali. Attaccato dai cattolici in Polonia, che continuano a non voler fare i conti con il loro antisemitismo e la loro xenofobia; accusato in America di non essere troppo critico con i crimini comunisti (ma anche lì farebbero bene a fare i conti con i crimini che hanno perpetrato in giro per il mondo per più di mezzo secolo) il film ha mietuto messi di premi su premi, compreso l’Oscar ed è stato osannato dalla critica cinematografica in tutto il mondo. Incassando, però, poco più di 10 milioni di euro in totale. In Polonia è arrivato a 100 mila euro; in Germania poco di più. È difficile fare i conti, sia con la Storia che con la propria coscienza.

Un capolavoro. Da non perdere.