La vittoria di Sizira e del suo leader Tsipras sembra ormai scontata: resta solamente di conoscere la percentuale con cui vincerà, se prossima al 40% o invece inclinata verso il 30. Avrà il suo premio di maggioranza e la responsabilità di tirare fuori la Grecia dalla crisi: dovrà presentarsi a brutto muso a trattare con nemici di Bruxelles, che sono amici di Nuova Democrazia non certo suoi.

Andrà veramente  a dire quello che ha promesso in campagna elettorale o cercherà anche lui di costringere la UE a cambiare verso, proseguendo la lotta di Renzi? Cercherà di trovare l’equilibrio tra una politica economica espansiva, per  ridare fiato e forza alla – da sempre- fragile economia ellenica e la lotta alle folli distorsioni garantiste che quell’economia hanno minato alla radice, oppure sventolerà la spettrale bandiera dell’uscita dall’euro, cara icona di tutti i populismi europei?

Farà lo statista o il capopopolo? Terrà conto del 30 e rotti per cento dei voti ottenuti o del 60 e rotti per cento dei suoi concittadini, che nei sondaggi dichiara di non voler rompere con la UE e non volere, soprattutto, uscire dall’euro?

Non ho nessuna riserva mentale verso Tsipras, anche se ne ho molte verso i suoi grandi elettori italiani, confusi e populisti, minoritari storici alla Civati, quelli sempre contro e mai  per qualcosa, in nome di una purezza ideologica snob e intellettuale. Bisogna seguire da vicino i suoi tentativi , sperando che non sbagli.

Un suo fallimento sarebbe, infatti, ben peggiore delle ricette della Troika: la destra ( da quella al vertice a Bruxelles ad Alba Dorata) sta aspettando che il cadavere (politico) di Tsipras galleggi nel fiume della sua disfatta.

Allora sì che lo spettro di Weimar non sarebbe solo un’ipotesi.