Le elezioni comunali in Trentino e in Valle d’Aosta, le regionali e comunali (parziali) in Spagna e l’elezione del Presidente della Repubblica in Polonia offrono, pur con tutti i limiti del caso, un terreno di ulteriore riflessione, che si era aperta con il voto nel Regno Unito, su sistemi elettorali, unità della sinistra, massimalismi ed estremismi.

Certo, le elezioni di quest’ultimo fine settimana non sono tra loro comparabili: in Italia si è votato nelle regioni di confine ad autonomia linguistica, con troppe specificità territoriali; in Spagna soltanto in una parte, seppur significativa, del territorio; in Polonia per eleggere una carica di alta rappresentatività, ma con limitati poteri. Non ci sono elementi omogenei, ma quello che interessa sono i segnali, che in tutti tre i casi sono preoccupanti per il destino dell’Europa ma anche per quel che può succedere in Italia.

Partiamo da casa nostra. Il centrosinistra riconferma la sua predominanza nei grandi capoluoghi: Aosta, Bolzano e Trento ( che tanto rappresentano in termini di popolazione e di territorio in queste Regioni) rimangono saldamente in mano ed il numero totale dei Comuni superiori governati dal csx è lo stesso delle precedenti elezioni (9). Unico neo Laives, dove la Lega la spunta per un pugno di voti, mentre Rovereto vede l’affermazione dei Verdi (per me va bene anche così). Si discute della scarsa affluenza, sotto il 50%. Per la Spagna, invece, essere stata prossima, ma sempre sotto al 50%, viene considerato un successo: Podemòs governerà Madrid e Barcellona avendo preso circa il 15% dei voti (sugli aventi diritto) e nessuno dirà nulla, perché questa è la democrazia rappresentativa, dove  chi non va a votare ha fatto una scelta e cioè quella di delegare ad altri la scelta di chi governerà. E si sottolinea come un successo la fine del sistema bipolare (una visione neo centrista, che porterà a fragili alleanze di governo). Anche in Polonia ha votato circa il 50% degli elettori, che hanno messo al vertice della Repubblica uno che viene definito ultraconservatore nazionalista, cioè – detto senza mezzi termini- un neofascista mascherato, che vuole portare Budapest a Varsavia (cioè i fascisti veri e propri al governo). Se si eccettua il Trentino, dove il risultato è segnato dal crollo senza precedenti della Sud Tirolen Volkpartei (SVP) alleato storico del centrosinistra, le altre due elezioni segnalano il fallimento totale delle socialdemocrazie, di vecchia data o appena costituitesi.

Il PSOE, come i laburisti inglesi, i socialisti francesi e i socialdemocratici tedeschi, non solo non riesce ad invertire la tendenza al declino e al minoritarismo rispetto al centrodestra ma lascia a casa gran parte dei suoi elettori. La crisi della socialdemocrazia europea è evidente: il PASOK non esiste più e l’alternativa è Syriza, che sta scherzando da troppo tempo col fuoco del ricatto ‘se usciamo noi dall’euro è un problema per tutti’ (il problema sarebbe solamente per la Grecia e per i greci, visto che il 61% di loro ha detto chiaro e tondo che non vuole uscire dal sistema della moneta unica). In GB i laburisti sono ai minimi negli ultimi venti anni. In Germania la SPD è succube di un governo di chiara ispirazione di destra. Nel nord Europa le storiche socialdemocrazie, là dove ancora governano, hanno scelto l’isolazionismo. Nel blocco ex-comunista faticano e molto, e la destra estrema la fa da padrone.

È tempo che si apra un dibattito serio all’interno del PSE, perché le categorie su cui si regge sono state bruciate dal tempo: l’incapacità di aderire a nuovi paradigmi, di sviluppare nuove strategie, di reinventare valori di riferimento della sinistra del XXI secolo sta diventando un arma di autodistruzione letale. Bisogna cambiare e in fretta, perché l’alternativa è un’Europa dominata dalla destra più o meno radicale, da movimenti populisti che puntano solo a distruggere, senza uno straccio di visione generale, dall’antieuropeismo. Dovrebbero capirlo anche quelli delle minoranze del PD, ma non c’è ancora alcun segnale. Disgraziatamente.