Quando alla fine appaiono i titoli di coda, dopo quasi tre ore che stai lì a cercare il significato dietro le immagini che corrono e mai si sovrappongono, ti chiedi: tutto qui? Sì, tutto qui. Perché la vita, nel 99,9% dei casi è proprio tutta qui. Ed è questa la grandezza del film di Richard Linklater, che non condensa in poche settimane di riprese lo svolgimento della vita del suo personaggio , con i dovuti accorgimenti di trucco per invecchiare o il cambio di attore a seconda delle fasi di crescita, ma con santa pazienza una volta l’anno per 12 anni ha rimesso assieme lo stesso cast e filmato la vera crescita e lo svolgersi della vita di un bambino texano (Ellar Coltrane, nel film Mason Evans) e del mondo corale che lo circonda (famiglia/e, scuola/e, amici).
E’ un film, quindi, che parla della vita; delle dure lezioni che la vita, più o meno frequentemente, ci dà; di come si formano caratteri e personalità; degli errori che si commettono e che, spesso, non sono più recuperabili; di quello che poteva essere e non è stato; di quello che sarà e non sempre sappiamo.
La vita, appunto.
Quando Mason sta per partire per il college, la madre (una perfetta donna americana interpretata da Patricia Arquette), di fronte agli sviluppi che lei ha programmato con meticolosa attenzione, crolla, perché si rende conto che ha lavorato per crearsi la solitudine: i figli sono partiti, i tanti mariti non ci sono più. E dice , tra le lacrime della disperazione: ‘Credevo di avere più tempo’.
Boyhood è inevitabilmente anche un film sul tempo che passa. La grande maestria di Linklater è quella di montare un infinito mosaico di situazioni temporali senza una cesura, un cambio di passo, un flashback, una riflessione aggiuntiva.
Salutato dalla critica americana come un capolavoro ( l’indice di Rotten Tomatoes è al 100%), con più circospezione da quella italiana (anche se siamo a 8 su 10, in ogni caso), poco apprezzato dal pubblico, soprattutto in Italia – dove ha fatto una fugace apparizione nelle sale.
Il motivo di tutto questo è che Boyhood è impregnato fino al midollo di americanità: cambi di città, difficili cambi di scuola, divorzi, famiglie allargate, amici perduti, addii dolorosi. Sono la media della società americana. Chi ha vissuto almeno parte di queste esperienze ( e , nel bene e nel male, a me è capitato) capisce del film molto di più e può più facilmente cogliere le sfumature, che, pure in un film quasi documentario, ci sono e sono molte. Quando anche l’ultimo figlio parte per il college (la meta di ogni famiglia americana della classe media), la casa diventa vuota all’inverosimile e ti sembra di essere arrivato al capolinea.
Ho trovato emblematica la scena del compleanno di Mason/Ellar, il quindicesimo mi sembra: gli vengono fatti due regali, solo apparentemente antitetici: una Bibbia (con evidenziati in rosso i discorsi di Gesù) e una doppietta. La quintessenza del Sud e del Mid West.
Vincerà qualche Oscar ( scommetto quasi a colpo sicuro sull’Oscar a Patricia Arquette, come attrice non protagonista), anche se dovrà confrontarsi con quell’infinito piano sequenza che è Birdman. Ma di questo parleremo un’altra volta.
Da non perdere, ovviamente.