È all’Auberge du Saint Graal, in Place du Soleil Levant (nomi dal manifesto richiamo massonico) che il lungo, tortuoso, non sempre chiaro e nemmeno comprensibile percorso del Saggio sul cercatore di funghi di Peter Handke si conclude, in un cena ovviamente a base di funghi, alla quale si ritrovano Handke, il suo amico cercatore , la moglie di questi – ritornata per il suo compleanno, dopo anni di separazione- e un incerto quarto commensale. Come dice l’autore : Oh giovinezza. Oh mondo ringiovanito. A fine cena, tirano tutti ad indovinare che ore siano e, immancabilmente, sbagliano tutti e quattro.

Un saggio-romanzo sulla gioventù passata? Troppo banale: a una certa età tutti cominciamo a rimpiangere come eravamo. Se fosse solo questo, il romanzo-saggio sarebbe da cestinare. È certo qualcosa di più: più temi, più profondità.

Ma, devo confessare, che spesso mi sono smarrito nella ininterrotta narrazione-descrizione. Rimangono, qua e là, ora con maggiore ora con minore insistenza, suggestioni che spingono a interrogarsi: cosa rappresentano i funghi, in generale, e i porcini, in particolare? Il sussurro dei boschi, che ci dice? La ricerca maniacale, dove ci porta? al Santo Graal? Al sole dell’avvenire?

Il percorso personale di Handke ci dice che i suoi miti giovanili e della prima maturità sono falliti, e lui si è rinchiuso a scrivere nelle campagne francesi, lontano da tutto, vicino ai boschi, tra gli alberi di frutta e alla ricerca di finferli.

L’amico avvocato che difende criminali di guerra ( in quella dei Balcani, Handke si schierò apertamente con la Serbia, lui, figlio di una slovena) scivola nell’ossessione dei funghi porcini (e dei funghi in generale). Ma nell’avvocato c’è tutto l’autore, peraltro studente in gioventù, senza successo, di legge.Dice Hanke che i funghi sono demoni, che ti ammaliano e poi ti distruggono: sono le idee sbagliate, i cattivi maestri, le strade erronee che si imboccano, in buona fede.

E queste riflessioni, perché di un saggio si tratta, sono sviluppate nel fiabesco, che per lo scrittore austriaco è il sale di tutta la letteratura.

Nel libro ho trovato -per la precisione tassonomica nella descrizione botanica- tanto di Cane e padrone di Thomas Mann. Non so se la traduzione – non per colpa del traduttore, ma proprio per la mediazione linguistica in sé- ci fa perdere qualcosa della musicalità del tedesco, ma non lo saprò mai, non conoscendo questa lingua. Trovo il linguaggio di Handke volutamente sfibrato, monotono, a volte stanco, al limite sciatto. Amo questo approccio che rovescia completamente la sacralità delle parole ‘pregne di significato’ e logora l’espressione fino quasi alla banalità, in un percorso anti letterario. Però, lo ammetto, che ho faticato a leggere il libro e ne sono uscito non avendo , in me, qualcosa di più o di più significativo di quanto avessi prima. Forse perché nella mia vita anch’io ho cercato e trovato funghi porcini.

Leggere fa sempre bene e anche quest’opera di Handke aiuta. Ma niente di più.