Nella conferenza stampa di presentazione del film Pietro Valsecchi, produttore di Chiamatemi Francesco, ha ricordato come – nella fase di prospezione in Argentina, in preparazione delle riprese- abbia raccolto, soprattutto tra il clero locale, non poche voci critiche su Jorge Bergoglio, l’ormai amato a livello planetario Papa Francesco. Le critiche riguardano soprattutto la macchia nera che aleggia sul passato del Papa, che all’inizio della dittatura di Videla faticò- per ideologia, ubbidienza gesuitica, necessità di equidistanza tra carnefici e ribelli armati- a trovare la giusta misura, trovandosi ad essere (non sappiamo perché: per errore di valutazione? per convinzioni personali?) di fatto, seppure limitatamente, complice o non integralmente resistente ad alcune delle mostruosità compiute dalla dittatura militare.

Il film che Daniele Luchetti costruisce per delineare la figura di Jorge Bergoglio (Rodrigo de la Serna, che passa bene – con la maturità- da amico del Che al gesuita che sarà Papa) è un racconto oggettivo, dove le diverse sfumature , le sfaccettature della personalità del protagonista vengono affrontate per quelle che sono: momenti di un processo di formazione. Il Bergoglio di Luchetti è un uomo/prete che vive le sue contraddizioni sempre in modo umano (cioè nella sfera del suo essere uomo prima che prete): l’amore per una ragazza, le amicizie di comunisti e peronisti, il rapporto con i più poveri e diseredati. Sembra che il momento della spiritualità o della riflessione teologica sia sempre in seconda linea, anche se non del tutto assente. Nel film manca – ma questa non è una mancanza di Luchetti, ma è proprio nella storia del protagonista- quel passaggio che vede il giovane – e proprio per questo predestinato a una sicura carriera nell’Ordine-  Padre Provinciale dei Gesuiti in Argentina coinvolto nella la brutta storia di due suoi confratelli, che di fatto consegna ai torturatori del regime militare. Lo ritroviamo – se non sapessimo, diremmo con sorpresa- a pulire porcilaie nella misera e sperduta campagna argentina. C’è un fatto di cardinale importanza che viene taciuto, ma che con pazienza e conoscenza si può ricostruire: Bergoglio a quel tempo è uno dei più strenui oppositori della teologia della liberazione, mentre proprio in quegli anni a capo della Compagnia di Gesù c’è Pedro Arrupe, uno dei massimi rappresentanti di questo movimento. Arrupe, come Mao fece con Deng Xiaoping, più o meno in quello stesso periodo, per ‘aiutarlo a capire’ lo mandò a pulire i maiali nelle campagne. E Bergoglio uscirà da questa esperienza diverso.

Pur senza essere un grande film, Chiamatemi Francesco ha la capacità di non cadere mai nell’agiografia e, considerando la materia e i rischi intrinseci, non era proprio né scontato né facile evitare questo pericolo.

Molto ben riuscite le ricostruzioni ambientali, le cupezze senza speranza del terrore fascista, la miseria immensa e desolata. Il film mantiene un ritmo adeguato e la struttura narrativa è solida. Forse non si poteva fare di più.

Da vedere.