Se il tema dominante dello Snow Show di Slava Polunin è la leggerezza malinconica propria dei grandi mimi e dei grandi clown, in una sequenza di quadri in cui domina la levità dei gesti e la monotona ripetitività dei movimenti ( sempre scontati ma sempre divertenti), la grandezza è in alcuni passaggi forti, dai ritmi più serrati e per questo atipici nella ovattata tranquillità della neve, che di questo (che per comodità chiamiamo) spettacolo è l’anima candida. Nel  dialogo che attori e pubblico intrattengono per quasi due ore ciò che si celebra è il gioco, lo stare insieme per il divertimento, lo svago, il dolce non pensare a nessuna sovrastruttura.

La strumentazione è semplice fino alla (apparente) banalità: acqua sul pubblico, in un finto acquazzone; clown dall’aspetto topesco e dalle lunghe scarpe nere che camminano sulla testa e sulle spalle degli spettatori; neve a catinelle (coriandoli di carta bianca) a volontà, spazzata col lunghe scope, gettata in quantità industriale a secchiate su tutto e su tutti. C’è tutto l’armamentario dei clown, associato però ad una mimica sopraffina, anche se con  i nasi finti e rossi.

Eppure…Eppure una serie di scintille che si sprigionano all’improvviso cambiano la scena in modo radicale: la lunga immensa ragnatela che scende dal palco e coinvolge come una gigantesca coperta tutta la platea modifica l’angolo prospettico del gioco. Siamo tutti sul palcoscenico, siamo tutti attori:  ma attenzione,  non per recitare, bensì per giocare e divertirci.

Lo sdoppiamento dello spettatore è totale: a volte guarda e fruisce una scena recitata senza dialoghi e con la musica come sostegno ai movimenti e alla comunicazione; una volta è coinvolto, per uno scherzo, individualmente o in modo collettivo; una volta ride degli attori, un’altra ride di se stesso.

Il crescendo finale ha un che di epico: la tempesta di neve, sulle note imperiose e minacciose dei Carmina Burana di Carl Orff, ci trascina a Novosil il piccolo villaggio natale di Polunin, nella regione di Oryol, nella Russia centrale. Le luci accecanti che provengono dal palcoscenico, il vento forte e turbinoso che ci sbatte in faccia la (finta) neve e la (finta) nebbia, creano una drammatizzazione inaspettata: per ricordarci che la neve ( la vita?) non è solamente un lento monotono fioccare senza rumore, ma è anche qualcosa di turbinoso e violento .

Tutto si placa, alla fine,  e  decine di palloni pieni d’aria, grandi come un mappamondo o giganteschi come una mongolfiera invadono il teatro e tutti si scatenano nel gioco, che non avrebbe mai fine.

Le calde risate dei bambini in sala sono il segnale più bello e, certamente,  il riconoscimento più grande per lo spettacolo. Applausi a non finire.

Da non perdere, senza dubbio.