Tra i tanti omaggi a Pier Paolo Pasolini, a quarant’anni dalla tragica morte, un posto di prima fila per qualità e originalità di angolo di lettura spetta alla testimonianza Sono Pasolini di e con Giovanna Marini. Un pezzo teatrale scarno e essenziale, che rifugge da una lettura a tutto campo della vita del controverso intellettuale e si concentra invece su alcuni aspetti, che sono per me la parte migliore di Pasolini: le sue poesie in friulano e gli anni dal 1942 ai primi ’50 (con poche e sporadiche digressioni temporali/tematiche).

Giovanna Marini ripercorre gli anni di formazione umana, politica e intellettuale in quegli anni passati da Pasolini  in Friuli e prevalentemente a Casarza, mentre la parte recitante legge pagine da ‘I giovani infelici’ (del 1975 e apparso postumo) e il coro (Coro Favorito della Scuola popolare di Musica di Testaccio) canta e sceneggia alcune poesie in friulano, messe in musica  dalla Marini.

In questi contrappunti tra le poesie d’amore in senso generale ( amore umano, per la vita, per il mondo), le amare considerazione sul rapporto padri/figli, sulle colpe e le responsabilità reciproche, sul precipitare nella società dei consumi che disgrega valori e rapporti, e lo svolgersi complesso e aneddotico della vita del poeta prende forma questa testimonianza.

Teatro povero, fortemente didascalico, a volte didattico. Senza scene e basato, quindi, solo sull’interazione di un narratore, un recitante e il coro.

Il nero è il colore totalizzante, presagio di lutto e di sventura.

Belle le musiche, sublimi le poesie, ottimo il coro che sa interpretare al meglio il messaggio poetico e musicale. Resta da valutare ciò che Pasolini ha detto, scritto e fatto. Lì i miei dubbi e le mie critiche sarebbero probabilmente maggiori degli apprezzamenti.

Ma questo è un altro discorso.