Fred (Stanley Tucci) arriva con armi e bagagli a casa di Velvet (Alice Eve), la sua ex amante, dopo quattro anni: finalmente ha lasciato la moglie e possono ricominciare la loro appassionata storia d’amore. Lui, avvocato, era stato adescato da lei (studentessa universitaria e squillo di lusso per mantenersi agli studi): ma presto Velvet si era innamorata di lui, e Fred di lei. Solo la lontananza e un’unione coniugale si frapponevano al loro amore. Ora Fred è qui. Però le cose sono cambiate: Velvet non è più la studentessa che si paga gli studi intrattenendo rapporti con uomini maturi; ora è una squillo a tutto tondo, una professionista. Nella casa, linda e ordinata, di Velvet iniziano le schermaglie tra lui e lei: tra amore, rimpianti, invettive volgari, tristezza per il passato e il presente. Un presente che ha un lato morboso; ora Velvet è l’amante, come lo è stata per Fred, del figlio di lui, Chris che con il padre ha rapporti saltuari e superficiali. Velvet deve uscire e ‘andare a pranzo con Chris’, che nel gergo della sua attività significa qualcosa di chiaro e preciso.

La tensione sale e scende, in un crescendo comunque lineare e ossessivo: il rapporto tra i due è naufragato, l’amore finito, il rispetto reciproco agli sgoccioli. Che accada qualcosa di brutto, violento ed irreparabile è nell’aria. E infatti accade. In un raptus incontrollabile Fred violenta Velvet, sbattendola sul pavimento, in modo brutale. La lascia ancora piangente e umiliata a terra. Si rassetta, prende le sue cose e va via. A Velvet rimane solo la miseria della sua solitudine e la ferita della violenza. Ma…

Ma il finale cambia radicalmente tutti gli angoli di prospettiva e la storia diventa un’altra storia, perché i personaggi rivelano verità diverse. Un finale che spiazza e in qualche modo fa riflettere: sull’amore, sul sesso, anche su quello mercenario.

Girato a Brooklyn, Vevet – Il prezzo dell’amore (Some Velvet morning) è sostenuto da una sceneggiatura a sorpresa e dall’interpretazione magistrale di Tucci e della Eve. Ancora una volta Neil LaBute – un convertito in età universitaria alla Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)- affronta il tema del rapporto – nevrotico, torbido, non lineare- tra i sessi. Alle spalle – per ambientazione e ritmo- c’è il Servo di Losey e Pinter, anche se lì i due maestri affrontavano il tema secolare tra servo e padrone, caro a Hegel e poi a Marx, mentre LaBute l’interdipendenza la lega all’amore e al sesso.

Uscito nel 2013, direttamente su internet e in poche sale negli USA, e in Italia solo come homevideo, il film non ha goduto di grande critica sia in America che in Italia, secondo me a torto: la storia è interessante e in parte originale, i ritmi adeguati, la recitazione lodevole.

Da vedere, se possibile.