Ovviamente, a dispetto del titolo  o proprio per il titolo, l’ultimo film di Sorrentino è una narrazione della vecchiaia, quella fase della vita in cui, volenti o nolenti, tutti quelli che hanno la fortuna di arrivare debbono fare i conti con una serie di cose: lo scemare della forza fisica, la inevitabile decadenza, l’esaurirsi – a volte più lento, a volte improvviso- delle energie vitali, i ricordi (inclusi i rimorsi e i rimpianti).

Fred (uno splendido Michael Caine) e Mick (Harvey Keithel, sempre adeguato al ruolo) sono due (quasi) pensionati di lusso: il primo conduttore d’orchestra e compositore, l’altro un regista, tutti e due  sul viale del tramonto. Il primo disincantato dal tempo passato e conscio che la sua epoca, nel bene e nel male, sia finita; l’altro che cerca disperatamente di rimanere attaccato alla vita, girando il suo film-testamento (che non a caso si intitola ‘L’ultimo giorno della vita’ e di cui Harvey, nonostante lo stuolo di giovani sceneggiatori che lavora con lui, non riesce a scrivere il finale). Pensionati di lusso, in vacanza sulle Alpi svizzere, in un albergo di super lusso. Attorno altri personaggi:la figlia i Fred, un monaco buddista, un Maradona grasso e malato, una giovane prostituta, inviati della regina Elisabetta, una massaggiatrice cripto ballerina, uno scalatore, un giovane attore californiano di successo.

Sullo sfondo divorzi improvvisi, pop star, mogli morte o comunque mancanti, amori giovanili, suggestioni reali (nel senso monarchico del termine), passeggiate, massaggi, fanghi e abluzioni.

Credo che la scena più bella, almeno dal mio punto di vista, sia quella in cui Miss Universo (Madalina Diana Ghenea, il lato B della locandina) entra tutta nuda in piscina sotto gli occhi amorevoli di Caine e Keithel: in loro, nei loro sguardi, nelle loro parole non c’è malizia, né bramosia, né la libidine malata dei vecchi. C’è solo ammirazione, contemplazione del bello, godimento della salubrità della gioventù.

Le cose che ho apprezzato: la fotografia, il rigore formale (da tutti criticato, ma che invece è il pregio di Sorrentino, che lo avvicina a Visconti), la cura delle inquadrature. Le cose che mi lasciano perplesso sono una sceneggiatura un po’ arruffata, con personaggi macchietta: il monaco buddista, un’asceta che levita, che ci sta a fare in albergo 7 stelle L? lo scalatore che fa innamorare la figlia di Fred è un Messner andato a male e senza acqua minerale da reclamizzare; le donne-attrici-personaggi dei film di Mick sui pendii alpini pieni di vacche al pascolo. Sbavature incredibili, che minano la compostezza formale del film. E poi un finale scontato.

Sorrentino, ossessionato da Fellini, invece di averlo come punto di riferimento- come nella Grande Bellezza- comincia a citarlo; peggio: lo imita. Non poteva compiere un errore più grave.

Scriveva Marguerite Yourcenar nel Taccuino di appunti del suo Memorie di Adriano: ‘Questo libro è stato concepito, poi scritto, tutto o in parte, sotto diverse forme, tra il 1924 e il 1929, tra i mie venti e venticinque anni. Quei manoscritti sono stati tutti distrutti. Meritavano di esserlo.’

Non deve fare altrettanto, Sorrentino. Ma lo aspettiamo tra una ventina d’anni, a parlare di vecchiaia, con altri occhi e un’altra mente. Speriamo liberati entrambi dallo strabismo  del fellinismo. Curi ancor di più il suo rigore formale, alla barba dei critici che lo giudicano un manierista: è la sua qualità migliore.

Uscito subito dalle sale in Italia; Rotten tomatoes non riporta neanche una critica nordamericana: con quel calibro di attori (in cui va inclusa una folgorante Jane Fonda, pure se ridotta anche lei a una volgarissima macchietta) ci si aspettava di più.

Da vedere, in ogni caso.